“Ci sono sport in cui la partita si struttura con un andamento progressivo, per esempio, il basket […]. In questi sport il punteggio è granulare: i contendenti accumulano e accrescono il loro mucchietto di punti, ci possono essere fasi in cui una squadra accelera e l’altro decelera; i singoli episodi (per esempio la sostituzione di un giocatore) possono essere decisivi ma solo per il cambio di fase.”
[Stefano Bartezzaghi, Chi vince non sa cosa perde, Bompiani, 2024]
”Giò” chiama laconicamente il Coach a meno di metà dell’ultimo quarto della partita tra BSKTWN e Abbiategrasso United. Giò, alias Giogi, alias Giovanni Lopresti, alias l’Ottantasei, entra in campo con l’effetto di una scarica di adrenalina capace di risvegliare la propria squadra, momentaneamente assopita.
Che la carica agonistica si sia persa lo si è capito da un po’, da quando il tabellone lato ‘ospiti’ si è bloccato sul 53, mentre dal lato ‘locali’ è passato da 17 a 30 in un paio di minuti o poco più. Il margine di vantaggio è ancora ampio, ma la coppia Dondena-Lova (rispettivamente n.3 e n.9) in maglia nera sembra in grado di riportare lo United in partita. Perciò ci vuole Gió.
A vederlo, Giò, a volte, ha l’aria smarrita e inoffensiva di un lupacchiotto sorpreso da una fototrappola notturna nei boschi del Trentino o dell’alta Valtellina. Invece, in campo è un capobranco. Entra, e in tre azioni segna tre canestri, portando il proprio granulare bottino a quota 22 punti. La svolta che Giogi imprime al quintetto fa sì che Nico Carbone (5p) ritrovi la retina un paio di volte. La partita si chiude con i due bei tiri liberi messi a segno da Pietro Anfossi (2p).
Nei primi tre tempi la componente competitiva e quella ludica sono state per i Belk ben amalgamate (16-4, 16-2, 20-11 i parziali). I nostri hanno giocato con intensità (competitività) e fantasia (lusus). Abbiamo visto semiganci, tiri da fuori area Richi (12p), anticipi e discese in solitaria Gullo (5p) e Seba (4p), assist inimmaginabili, e un discreto lottare sotto canestro.
Ci è piaciuto Marcello (5p) con quella sua particolare progressione da airone che prende il volo, un po’ impacciato nei primi passi ma poi armonioso negli ampi movimenti delle lunghe leve che inducono nell’avversario una certa remora e rispettosa distanza.
Ci è piaciuto il Marco Badinotti, non solo per i 4 punti messi a segno, di cui 2 su 2 tiri liberi, ma per l’impegno e l’applicazione con cui esegue il compito assegnato. E Simo, a segno due volte (4p), e Giulio, simili e diversi nell’agone, l’uno mosso più dalla competitività, dall’insaziabile desiderio di conquistar palla, l’altro dal furor ludico, l’instancabile voglia di giocare.
Infine, la coppia Nico e Tito, il Capitano e il Capo Ultras della panchina, rimasti all’asciutto di punti ma non di soddisfazione.
Il bello di giocare in una squadra sta anche nel fatto di potersi sottrarre alla regola della competitività esasperata. Negli ultimi quarant’anni – scrive Bartezzaghi – la regola per cui è vincente chi vince, è stata invertita in quella che vince chi è vincente. Essere vincenti non è più un dono occasionale – meritato o fortuito – ma un dovere costante; se non hai una mentalità vincente (sempre e comunque) sei un perdente. Se in una partita non ti entra nessun tiro, se sei d’umore pensoso e riflessivo, se sei portato a metterti al servizio della squadra, se la mentalità vincente, quel giorno, l’hai lasciata sulla federa del cuscino insieme ad altri immaginifici sogni, non sei necessariamente un perdente come vorrebbe certa dominante weltanschauung: partecipi, comunque, della vittoria della squadra e non ti perdi nulla, purché ti rimanga il gusto di giocare.
Parziali: 4-16; 2-16; 11-20; 18-11.